MARIO GUARINI
Trovare il tempo per un’intervista a Mario Guarini non è stato facile, un musicista profondo e preparato è sempre molto richiesto. Ho trovato in lui una persona che ha realmente passione in quello che fa, le note che suona vibrano di una forza particolare che colpisce; preciso e appassionato, possiede una sensibilità tale da catturare la tua attenzione, come infatti è stato per tutto il tempo dell’intervista. Una persona, al di là del musicista, con cui è stato bello e interessante discutere.
MARIO GUARINI
Trovare il tempo per un’intervista a Mario Guarini non è stato facile, un musicista profondo e preparato è sempre molto richiesto. Ho trovato in lui una persona che ha realmente passione in quello che fa, le note che suona vibrano di una forza particolare che colpisce; preciso e appassionato, possiede una sensibilità tale da catturare la tua attenzione, come infatti è stato per tutto il tempo dell’intervista. Una persona, al di là del musicista, con cui è stato bello e interessante discutere.
– Quando e come hai scoperto la musica?
– Ho iniziato per gioco da giovanissimo, con la chitarra di mia sorella trovata casualmente in casa, fino a quando, verso i 15 anni, andai a trovare un mio amico e vidi per la prima volta una band che stava facendo le prove: rimasi folgorato e decisi che volevo fare quello nella vita. Presi subito lezioni di teoria e solfeggio ma iniziai con un pianista, dato che non c’erano bassisti nella mia zona. Iniziai a suonare in molte band di generi musicali diversi scoprendo subito la mia natura di musicista onnivoro, mi piaceva tutto e questa è un’attitudine che ho tutt’ora.
– Quali musicisti ti hanno influenzato?
– Iniziai con il rock e mi piacevano moltissimo Sting, John Paul Jones e Flea, uno dei miei preferiti. Ma quando mi fecero ascoltare Patitucci, Alain Caron e Pastorius scoprii un mondo nuovo; infine Marcus Miller, che fu una folgorazione perchè univa al jazz un approccio così funky che sentivo molto vicino, una stima e una affinità che sento molto viva ancora oggi e che mi ha influenzato tanto.
– Parliamo del tuo metodo di insegnamento: qual è la tua filosofia?
– L’insegnamento deve adattarsi alla persona che hai di fronte, devi costruire il metodo in base alle sue esigenze, le attitudini e le pecularietà. Ci sono delle basi che tutti devono avere, cioè un bel suono, un timing impeccabile e saper mettere le note giuste, ma il modo in cui ci arrivi e gli esercizi vanno sempre modellati sulla persona. Una volta raggiunti questi tre requisiti fondamentali la direzione stilistica musicale si sceglie in base alla personalità dell’allievo, in modo tale da tirar fuori le sue caratteristiche migliori. Questo è il segreto dell’insegnamento.
– Secondo te il livello medio di bravura degli aspiranti bassisti ha subito miglioramenti o peggioramenti?
– Anche oggi ci sono degli allievi bravi e volenterosi, ma parlando più in generale noto un peggioramento delle motivazioni che ti portano a voler diventare un musicista. La passione che hai per la musica non ti deve far pensare al fatto che nella vita ci lavorerai o meno ma farti venire voglia di suonare il più possibile per acquisire esperienza; devi provare piacere e gioia anche solo facendo le prove o studiando, non solo aspettando situazioni migliori.
– Quali sono i dischi che ogni musicista dovrebbe conoscere?
– Direi qualsiasi disco dei Police, Sting, Peter Gabriel, Steely Dan, Prince, Hendrix, Yellowjackets, James Taylor, Robben Ford, Led Zeppelin, Cream, Miles Davis, Charlie Parker, Beatles, Stevie Wonder, Pat Metheny, i dischi dellla Motown, James Brown… quelli storici insomma da cui non si può prescindere.
– Oggi è facile reperire musica grazie a internet, ma spesso se ne fa un uso scorretto. Cosa ne pensi in merito?
– Internet ha contribuito ad accentuare la crisi del mercato discografico a causa dei download illegali, inoltre la facilità con cui si possono trovare i dischi fa sì che una persona acquisisca una conoscenza superficiale della musica. Spesso si ascoltano frammenti di canzoni e non un disco per intero, e anche andare a vedere qualche video su Youtube può far credere di conoscere un determinato musicista. Invece è la voglia di cercare e ascoltare appassionatamente un disco che ti fa assimilare i concetti che servono per una buona educazione musicale. Parlando delle cose buone posso dire che internet ha eliminato i limiti nella comunicazione, si può ricreare virtualmente un ambiente musicale che fà crescere le persone. Puoi contattare chiunque nel mondo e fare anche dei dischi online (io spesso faccio dei turni in questo modo e anche delle lezioni); purtroppo ci sono limiti tecnici di invio dati e connessione che non consentono al momento di suonare insieme agli altri, ma nel futuro credo che la sala prove sarà sostituita dallo schermo del computer, e da questo bisogna sentirsi stimolati senza avere troppa paura del futuro.
– Parlaci del cd con i Five for Groove. Come vi siete trovati a creare la band?
– Eravamo tre di noi in tour con G. Togni, un artista che ti lascia esprimere molto a livello strumentale quando suoni con lui, e visto che sentivamo un’energia particolare mentre suonavamo assieme abbiamo deciso di fare un disco che catturasse quel feeling particolare e quella complicità. Abbiamo riportato le nostre esperienze professionali in un disco funk/fusion, la cura dei suoni e la progettazione dei brani come se fosse un disco pop ma con l’approccio di strumentisti. C’è il sax al posto della voce ma suoniamo come se avessimo un cantante, con molta cura dei particolari. I brani sono stati sviluppati e rifiniti sul palco grazie ai tanti concerti che abbiamo avuto per poi registrarli in studio con l’energia del live, secondo me il modo migliore di fare un disco.
– In Italia il mestiere del musicista è duro, cosa ne pensi dell’ambiente musicale nostrano?
– Da noi è difficile, si suona poco e i posti non sono molti come quelli che puoi trovare, che so, in USA. Ci sono molti locali in cui suonano praticamente solo cover band che danno poco spazio per la musica originale o comunque creativa (anche le cover si possono fare in maniera artistica). La cosa importante secondo me è l’ambiente creato dai musicisti: quando trovi persone veramente appassionate alla musica che suonano molto, fanno jam sessions in locali (magari dedicati solo al rock, al blues ecc.) allora si crea l’atmosfera giusta che ti fa crescere musicalmente; principalmente in Italia c’è un problema di educazione musicale, non c’è la cultura della musica. I risultati li vedo in molti miei allievi, hanno l’illusione di saper fare le cose da subito, come magari registrare un disco senza l’esperienza necessaria che si acquisisce con il tempo e con i tanti concerti.
– Quale attrezzatura usi durante le registrazioni e i live?
– Sul mio sito www.marioguarini.com tutti possono vedere cosa uso, sono appassionato delle registrazioni e quindi seguo molto la tecnologia. Però la cosa più importante è valorizzare il suono del proprio basso: per fare un bel suono ci vuole un bello strumento, più macchine usi più puoi snaturare il suono basilare. I dischi belli sono fatti con un bel basso, un bell’amplificatore e un bel microfono, stop. Uso il mio MTD e riproduco il più fedelmente possibile il suo suono, come ho fatto per il disco dei Five For Groove: ho usato un MTD 535 e un Furlanetto fretless in diretta nell’Avalon, che è una DI neutra che non colora il suono, poi ho collegato il tutto a un buon convertitore (nel mio caso un Apogee mini-me). Se voglio un suono vintage allora assieme alla D.I. utililizzo un microfono davanti la cassa.
– Riesci a esprimerti al 100% quando lavori da turnista?
– Assolutamente sì, ho realmente piacere a suonare nello stesso modo ogni sera una canzone e non mi sono mai sentito costretto; se mi trovo a suonare più liberamente ho piacere allo stesso modo perchè trovo sempre il modo di esprimermi. Il meglio lo do quando mi trovo intrappolato in mille meccanismi, stacchi, obbligati ecc. e riesco a variare la mia linea sempre rispettando i miei doveri; lo trovo molto creativo e naturale, non ho bisogno di una libertà totale. Comunque per fare il turnista devi avere il piacere di suonare una parte sempre allo stesso modo perchè ti può essere richiesto, e il segreto è apprezzare la canzone nella sua completezza e non solo la linea di basso che suoni. Ad esempio, quando suonavo Giudizi Universali con Bersani, una canzone che amo, la suonavo sempre uguale, ma provavo piacere nel sentire che quelle poche note che cambiavo valorizzavano il brano ed erano le miglior possibili.
– Scrivi dei brani?
– Sì, all’inizio da ragazzo facevo praticamente solo quello e ho decine di cassette con i miei riff e canzoni. Col lavoro e l’insegnamento però ho avuto poco tempo per fare questo, ma ora sto cercando di riprendere a scrivere e ad esprimermi di più. Compongo principalmente col basso perchè quando suono gli altri strumenti scrivo sempre nello stesso modo a causa delle mie lacune tecniche; col basso ovviamente non mi succede, non mi sento legato ai soliti clichè che ho col piano o con la chitarra. Cerco di pensare a tutta la canzone per intero, non solo fermarmi al basso: nei Five For Groove quando si porta un pezzo l’autore ha sempre l’idea, sà la direzione da prendere e tutti gli si accodano contribuendo agli arrangiamenti, ma la scelta è sempre di chi scrive. Il modo di suonare un arrangiamento spetta allo strumentista ma è meglio che l’autore scelga le direttive da seguire, anche per i soli.
– Che tipo di bassista ti reputi musicalmente?
– Flea che ha studiato e conosce le scale? Ah ah ah! Pur avendo come riferimento un bassismo sofisticato pop alla Steely Dan o James Taylor ho sempre un sanguigno approccio rock che fa parte della mia natura. Ma mi piace anche accompagnare e basta. Diciamo che sono un bassista rock/funk, posso divertirmi anche suonando per 5 minuti sempre la stessa cosa in MI minore oppure suonare cose più complicate.
– Musica che stai ascoltando adesso?
– Un bassista che mi sta facendo impazzire è R. Bona, da tanti anni non provavo emozioni del genere, sa come scrivere e canta bene… e quando suona alla sua maniera lo fa in modo pazzesco. Poi Oz Noy, un chitarrista israeliano che suona in trio, Avishai Cohen un’altro israeliano e anche Esperanza Spalding, che suona il contrabbasso e canta ed è straordinaria. Da notare che, anche se mi avvicino ai bassisti, mi accorgo che mi attrae la musica cantata, non sempre e solo strumentale: diciamo il mondo della canzone ma ben suonato, magari con un’influenza di generi diversi.
– Come è nata la tua collaborazione con MTD?
– Dopo aver suonato per tanti anni bassi MTD sono entrato in contatto con Master Music per promuovere una nuova gamma di strumenti in versione economica, MTD Kingston. Li ho provati e suonano molto bene, difficile trovare strumenti economici con la 5 corda così ben bilanciata ed equilibrata: hanno un bel suono e una grande maneggevolezza, Il basso che sto usando ora è un MTD KZX, modello di punta di questa serie Kingston. Anche la Gallien Krueger è un’ottima marca di amplificatori, sono molto contento di usarli; in questo periodo porto in giro una cassa delle serie NEO 2×12 leggerissima e potente e la splendida testata FUSION550, il primo modello ibrido mosfet-valvolare della casa californiana. Sono uscite le nuove serie di queste due marche a Settembre in Italia e invito tutti a provarli. Attraverso Skype e il sito della MM organizzerò incontri online per far sentire i suoni e le caratteristiche dei bassi e degli ampli, quindi tenetevi aggiornati!
– Progetti futuri? Dove possiamo vederti in giro?
– Attualmente sono impegnato con il One World Tour 2010 di Claudio Baglioni che mi porterà a suonare nei maggiori teatri del mondo. Per il quinto anno consecutivo suono nell’Orchestra della trasmissione Amici, diretta dal maestro Peppe Vessicchio e a breve sono previste alcune date del tour musicale di Daniele Luttazzi. Sta per uscire poi in questi giorni il disco live di Massimo Ranieri, del suo ultimo spettacolo teatrale ; è un disco di cui vado particolarmente orgoglioso perchè è il mio primo lavoro interamente realizzato con il contrabbasso. Per quanto riguarda i progetti futuri, tour permettendo, mi piacerebbe poter portare nuovamente in giro per l’Italia il mio seminario di basso elettrico, suonare con il quartetto di Max Rosati e cercare di chiudere il mio primo disco solitsta cui lavoro già da parecchio tempo.
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