LUCA GALEANO
Dalla Sicilia agli Sugarfree: i sogni di un chitarrista al servizio della melodia
Luca Galeano è nato a Catania il 15 Gennaio 1976. Chitarrista, compositore, didatta e produttore.
Inizia a studiare chitarra classica all’età di 13 anni compiendo inizialmente studi classici e partecipando a diversi concorsi nazionali di chitarra classica. Si accosta successivamente allo studio della chitarra moderna, diplomandosi presso l’Università della Musica (U.M.) di Roma, e poi specializzandosi in Improvvisazione ed Orchestrazione presso la scuola romana di musica moderna “PERCENTOMUSICA”.
Ha studiato Improvvisazione con Umberto Fiorentino e Fabio Zeppetella.
Con Andrea Avena e Stefano Fresi invece ha studiato Armonia ed Arrangiamento e periodicamente ha seguito dei master con Nico Stufano e William Stravato.
Ha inoltre frequentato i seminari di Ralph Towner, Bruce Foreman, Frank Gambale, Jennifer Batten, Vinnie More, Brett Garsed, Stanley Jordan, Greg Howe.
Attualmente è iscritto al Corso di Laurea in Musica JAZZ presso il Conservatorio V. Bellini di Catania.
LUCA GALEANO
Dalla Sicilia agli Sugarfree: i sogni di un chitarrista al servizio della melodia
Luca Galeano è nato a Catania il 15 Gennaio 1976. Chitarrista, compositore, didatta e produttore.
Inizia a studiare chitarra classica all’età di 13 anni compiendo inizialmente studi classici e partecipando a diversi concorsi nazionali di chitarra classica. Si accosta successivamente allo studio della chitarra moderna, diplomandosi presso l’Università della Musica (U.M.) di Roma, e poi specializzandosi in Improvvisazione ed Orchestrazione presso la scuola romana di musica moderna “PERCENTOMUSICA”.
Ha studiato Improvvisazione con Umberto Fiorentino e Fabio Zeppetella.
Con Andrea Avena e Stefano Fresi invece ha studiato Armonia ed Arrangiamento e periodicamente ha seguito dei master con Nico Stufano e William Stravato.
Ha inoltre frequentato i seminari di Ralph Towner, Bruce Foreman, Frank Gambale, Jennifer Batten, Vinnie More, Brett Garsed, Stanley Jordan, Greg Howe.
Attualmente è iscritto al Corso di Laurea in Musica JAZZ presso il Conservatorio V. Bellini di Catania.
Inizia giovanissimo l’attività Live e Studio. Come leader, come componente di band o come turnista, ha suonato e collaborato con molteplici organici: band, cantantautori, combo, orchestra.
Si è esibito in diverse location, dai pub ai club, dai teatri agli studi televisivi, dalle piazze agli stadi.
Nel 1996 vince Sonica con gruppo Fenians.
Col gruppo rock Kataitna vince il Festival di Silvi e partecipa al Bud-Tour.
Nel 2000 vince nuovamente Sonica col gruppo Aerial.
Nel 2003 suona nell’orchestra di alcune commedie musicali in siciliano di Enrico Serretta.
Ha preso parte a due tour del gruppo Theatricantor nel 2002/2003. Nel 2004 ha firmato un contratto con la WARNER MUSIC, suonando col gruppo pop SUGARFREE, con cui ha ottenuto il Disco di Platino nel 2005 e ha partecipato alle più importanti manifestazioni televisive e musicali nazionali (Festival di Sanremo ed. 2006, FestivalBar 2005/2006, Top Of The Pops, Cornetto Music Festival, T.R.L di MTV etc ).
Con gli Sugarfree ha effettuato 3 TOUR , girando le principali piazze e teatri in Italia e ,oltre confine, in Slovenia, Svizzera e a Boston, negli U.S.A.
Ha collaborato con la cantante NEJA con cui, nel 2006, è andato in Tour a Tokyo, in Giappone.
Nel 2007 suona con l’orchestra dell’ ERSU.
Fra le sue esperienze e collaborazioni: Edoardo Bennato, Tullio De Piscopo, Mauro Pagani, Vincenzo Spampinato, Brando, Fabrizio Venturi.
– Luca Galeano “nasce”, per così dire, prima o dopo l’esperienza con gli Sugarfree?
– Luca Galeano nasce a 13 anni quando decide di studiare seriamente la chitarra (in realtà il primo strumento che ho avuto tra le mani è stata la batteria con la quale tuttora mi diletto ed è fonte di idee, ma anche l’approccio al piano, sempre da piccolo, ha contribuito molto…). Sai, inizialmente vedi la chitarra e la poi capita, come è successo a me, che a 12/13 anni capisci che la chitarra è qualcosa di più di una semplice ”strimpellata”… è qualcosa di più… è come una ricerca infinita.
A quel punto inizia il sogno di tutti i ragazzini, ossia fare la Rockstar, fare il chitarrista a tutti i costi. Così a 14 anni ho fatto il mio primo concerto con una Squier alla festa della scuola. Prima ero un ragazzino che andava a scuola e giocava a pallone, poi, la passione per la chitarra ha soppiantato tutto il resto passando da “unico trip” a “studio” ed infine “lavoro”. Questa passione mi ha portato ad abbandonare la facoltà di Giurisprudenza al primo anno e partire alla volta di Roma per intraprendere gli studi professionali in alcune Accademie della capitale (Università della Musica, Percentomusica, ecc.). Una volta diplomato, a circa 22 anni, iniziai la carriera professionale fatta di collaborazioni musicali, turni, concerti e insegnamento, fino all’incontro con gli Sugarfree che rappresentano un punto di inizio non un punto d’arrivo.
– Gli Sugarfree hanno rappresentato l’occasione per farti conoscere al grande pubblico ma anche, ovviamente, per metterti alla prova in una situazione professionale ad alto livello. Adesso, dopo esserti separato dagli Sugarfree insieme al cantante Matteo Amantia ed aver inciso il tuo primo disco solista, pensi che Luca Galeano sia più “riconoscibile”?
– Mi sono posto la domanda se il fatto che io abbia fatto parte di un gruppo famoso possa agevolarmi o meno in ambito musicale. Sinceramente la risposta è negativa, nel senso che forse devo lottare un po’ di più per togliermi di dosso il fatto che comunque stavo in una situazione pop.
Perché alla fine mi rendo conto che una situazione del genere potrebbe essere sostenuta, almeno dal punto di vista mediatico, da un ragazzino di 20 anni che prende la chitarra in mano e non sa suonare neanche molto bene. Chi ti vede suonare la canzonetta pensa che ti limiti a fare l’arpeggino e a saltellare sul palco. Per questo devi lottare contro i preconcetti della gente che non ti ha conosciuto come Luca Galeano (come magari mi conoscono gli addetti ai lavori, o i miei colleghi Siciliani che mi hanno seguito fin dai primi passi) ma come il chitarrista degli Sugarfree, e non si aspetta che tu possa tirare fuori un disco fusion o che tu possa avere una attività da “jazzista”.
Ho fatto moltissima gavetta prima di arrivare agli Sugarfree, soprattutto considerando la mia svantaggiata posizione di “ragazzo del Sud”. Non prendiamoci in giro. Io sono di Catania e gli Sugarfree sono solo una tappa di una lunga, lunghissima gavetta, molto più lunga di quella che si richiede ad un ragazzo del Nord Italia. Ad esempio a Milano hai molte più strutture. Tu già a 14 anni hai avuto esperienze in studi di registrazione, di click e di professionalità, magari a 16 anni firmi il tuo primo contrattino perché là ci sono tante case discografiche, poi ti fai i palchi di un certo tipo.
Quando avevo 14 anni, c’era molto talento per le strade ma non c’era la minima possibilità di un approccio veramente professionale al lavoro di musicista. Moltissima gente suonava e, pur mancando l’approccio tecnico-professionale e le strutture, devo dire che il livello era molto alto, ma il lavoro era comunque molto poco. Per riuscire a ritagliarmi il mio spazio dovevo essere più bravo di quanto servisse se fossi nato in un’altra città, dove c’è più spazio per tutti. Questo per dire che a chi non mi conosce può sembrare che io abbia iniziato con gli Sugarfree.
– Quali sono le tue influenze musicali?
– Sono un “Beatlessiano” convinto ma, sicuramente, parlando di “chitarrismo” le mie influenze principali partono dagli anni 70, da Hendrix, Pink Floyd, Led Zeppelin, Deep Purple fino a Van Halen. Dopo una breve parentesi Metal, arrivo ai solisti degli anni 80, primi anni 90. Chi non ha ceduto almeno una volta al fascino di Joe Satriani, Steve Vai e Yngwie Malmsteen? Io, per esempio, mi sono avvicinato alla Rock-Fusion sedotto dai virtuosismi di Greg Howe, Brett Garsed e Richie Kotzen, ma poi arrivi a capire da dove giunge la fonte d’ispirazione di questi stessi musicisti e inizi a sentire Jeff Beck o Larry Carlton e Mike Stern che ti portano nel mondo del Jazz-Rock e al suo linguaggio. Cominci così a sentire Metheny e Benson che, per i rockettari, sono chitarristi di passaggio tra “quello” e il “Vero Jazz” di Wes Montgomery e Charlie Christian. Un capitolo fondamentale della mia formazione è stato sicuramente quello dell’ascolto di Chick Corea. Un “Capitolone” è stato la scoperta del linguaggio be-bop. Parker in primis (che più studiavo e più mi rendevo conto di quanto sarebbe stato bello e importante nella Rock-Fusion). Ho iniziato poi un viaggio a ritroso verso la scoperta del vecchio swing e dei suoi esponenti. Questo è sicuramente un linguaggio che amo molto, ma l’intento è sempre quello di prendere degli spunti da inserire in un altro contesto sonoro. Credo, infine, che l’album Kind Of Blues di Miles Davis, abbia “segato” definitivamente la mia convinzione sul fatto che c’erano troppe cose belle e linguaggi favolosi da esplorare per rinchiudersi esclusivamente nella definizione di “fare uno stile”. Sono sempre rimasto molto affascinato dalla musica Manouche, Django Reinardt in testa fino ad arrivare alla scuola di Bireli Lagrene e Stoquelo Rosemberg per non parlare poi di Paco De Lucia, Al Di Meola e John Maclauglin. Quest’ultimo ha esplorato praticamente tutte le dimensioni sonore!
Da poco ho iniziato ad ascoltare molta musica etnica, balcanica in particolare. E poi la musica mediterranea, più vicina alla mia terra.
Contemporaneamente mi piace anche l’ultimo Gambale e vado pazzo per i bluesman alla Stevie Ray Vaughan.
Penso di avere così tanti input oggi, noto che ci sono così tante cose belle da ascoltare che ad un certo punto tutta questa musica deve sintetizzarsi in quello che sei tu. Quello che sei tu, poi, non è altro che il risultato del posto in cui vivi, le esperienze che hai fatto, quello che hai suonato ed ascoltato.
Siamo in un certo senso come “la frutta”: un prodotto specifico che si caratterizza in una determinata area geografica. Non capisco perché molte persone che nascono in zone impregnate storicamente e culturalmente in un certo modo, si sforzino di essere altro. Non potrai mai essere, fino in fondo, un californiano che fa surf se vivi in Valtellina! Non mi convincono tanto quei Bluesman che magari vivono a Canicattì e suonano “Sweet Home Chicago” e non sanno neanche com’è combinata Chicago e qual è lo spirito e la sofferenza di un nero d’America che, in quegli anni, componeva il Blues perché viveva il Blues. Sennò si rischia di cadere nell’errore di certi “rapper” che magari sono anche figli di papà, vivono ai Parioli e giocano a fare i gangster del Bronx !
– Hai qualche avviso da fare a chi decide di avvicinarsi alla Musica ed in particolare alla chitarra?
– Innanzitutto capire che cos’è lo studio e la disciplina. Siamo in un’era in cui qualsiasi tipo di informazione la possiamo avere accendendo il computer, cosa che non c’era così tanto quando ero piccolo io e stavo studiando, ed era inimmaginabile 30 anni fa o prima ancora, quando i maestri che hanno insegnato a me ancora studiavano. Con una tale quantità di input sembrerebbe più facile, eppure molto spesso è più difficile studiare. Ai nostri tempi bisognava usare le orecchie e tirarsi giù la musica direttamente dai dischi. Oggi, con il fatto che ci sono tutti questi “guitar tab” hai così tanto materiale che poi non ne usi affatto. E’ importante affidarsi sempre nelle mani di un buon maestro, sfatando il luogo comune che un buon maestro possa essere un cattivo musicista e viceversa. Per il mio concetto di MAESTRO questa persona deve assolvere ad entrambi i ruoli. Deve avere una esperienza diretta con la musica “suonata”, ma deve avere anche i mezzi per poter trasmettere scientificamente le informazioni. Ricordiamoci sempre che il sapere, oggi, è a disposizione di tutti ma bisogna, a prescindere dalla fonte della trasmissione, imparare sempre ad essere dei buoni maestri di se stessi. Infine, e questa è la cosa più importante, si deve finalmente capire che oltre ad essere “Chitarristi” bisogna essere “Musicisti”. C’è ancora tanta gente intrippata con la “scaletta” o con la tecnica fine a se stessa quando ormai bisogna allargare gli orizzonti. Capire di cosa si tratta veramente. Riuscire a “Cantare” e studiare tutto in maniera assolutamente scientifica. Soprattutto per l’improvvisazione, non limitarsi a vedere due o tre “Box” di cui rimani poi schiavo o prigioniero, impoverendoti. Esplorare tutti i tipi di possibilità. Insomma bisogna aver visto così tante cose che alla fine sai essere “libero” e puoi tirar fuori la tua musica, e che il tutto non si risolva in una diteggiatura oppure in un: “Guarda quanto è bello quest’amplificatore”.
Per me hanno senso i musicisti che hanno analizzato dal macro al micro e che riescono a costruire in tempo reale, anche con l’orecchio relativo, quello che vogliono dire perché hanno così chiare le geometrie sulla tastiera che non è più ne geometria ne matematica. Diventa espressione che ritorna al cuore, libera da inutili condizionamenti mentali!
Capire bene la differenza tra Arte e Lavoro, non “sputare” mai sul Lavoro e non osannare mai la propria Arte. Non illudersi di fare “Arte” quando si sta facendo un lavoro e fare sempre un lavoro benfatto come se si stesse facendo una delle cose più importanti del mondo, cioè l’Arte. Stare attenti alla produzione di quello che fate. Potreste aver detto cose belle ma averle impacchettate male. Ci sono molti musicisti pseudo-famosi che fanno dischi con batterie finte o con suoni discutibili, come se a loro interessasse solo la chitarra e tutto il resto fosse un contorno. Secondo me questo è un atteggiamento poco rispettoso verso la musica!
Mi auguro che si tiri fuori più melodia in futuro. Siamo in Italia, nel paese della melodia. Il mio disco è stato pubblicato in America soprattutto perché lì sono rimasti colpiti dal fattore melodico. Per loro è molto più “strano” e raro di quanto lo possa essere per noi italiani che ce l’abbiamo nel DNA. Basta tirarlo fuori, anche se questo corrisponde al lavoro di una vita e allo scopo finale di ogni improvvisatore. Riuscire totalmente in questo intento. Riuscire ad essere totalmente libero, a captare le note dall’universo, sarebbe fondamentalmente arrivare alla fine del percorso. Beh, probabilmente non ci basterà una vita ( ne occorrerebbero 2 o 3 ), però l’importante per me non è in quanto tempo ci si arrivi, ma che tu stia percorrendo la strada giusta, con il pensiero giusto e la predisposizione d’animo giusta!
– Prima di passare a parlare del tuo disco ti domando: “Quali obiettivi ti sei posto per il futuro della tua carriera musicale?”
– Non mi interessa diventare ricco con gli incassi delle vendite del mio disco strumentale. Lo considero una forma d’Arte e come tale lontana dalle logiche economiche. Spero che il mio disco venga ascoltato e apprezzato dal maggior numero possibile di persone.
Voglio che giri molto.
Ovviamente continuerò la mia attività di insegnante e continuerò a fare il lavoro di turnista e a collaborare con Matteo Amantia ex leader degli Sugarfree. Queste sono cose che faccio da tempo e che continuerò a fare; un presente costante per me.
Nel futuro da “Artista” che suona e fa dischi di musica strumentale, vorrei sempre andare avanti nella ricerca e nella possibilità di espandere al massimo il mio linguaggio. Ormai la mia ricerca è volta al linguaggio e all’espressione, all’improvvisazione e alla ricerca della “Melodia Perfetta”!
– Pensi che Luca si deve ancora scoprire?
– Penso che Luca continuerà a “scoprirsi” fino al giorno in cui morirà. Mi auguro che per ogni musicista sia così. Tra l’altro non credo che riuscirò a scoprirmi del tutto. Se lo facessi sarei un illuminato. Conoscersi del tutto corrisponde a conoscere l’infinito. La luce. Non so quando arriverò alla luce. Forse in questa vita no. Avrò bisogno di un paio di reincarnazioni per arrivare alla perfezione. Lo scopo di ogni uomo è raggiungere questa perfezione. Luca dopo Luca, disco dopo disco, cercherò di essere sempre migliore. Se mi dovessi sentire arrivato adesso, al primo disco, sarebbe finita. Ogni cosa che faccio è per me un punto di partenza. Bisogna andare avanti.
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